Con commercio equo e solidale o semplicemente commercio equo (fair trade in inglese) si intende quella forma di attività commerciale, nella quale l'obiettivo primario non è soltanto la massimizzazione del profitto, ma anche la lotta allo sfruttamento e alla povertà legate a cause economiche, politiche o sociali.

Il documento che costituisce una sorta di "manifesto" del commercio equo solidale italiano è la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale
Il Commercio Equo e Solidale è un movimento che vanta oltre 40 anni di attività a sostegno di contadini e artigiani del Sud del mondo. Si tratta oggi di un' alternativa concreta e sostenibile alle iniquità del commercio internazionale, che nelle idee dei pionieri iniziò con piccole azioni di solidarietà per dimostrare la possibilità effettiva di una sintesi tra concretezza e idealismo. Lavorare nel Commercio Equo e Solidale, o sostenerlo come consumatori consapevoli o come volontari, significa credere che un mondo diverso è possibile nella misura in cui accettiamo le nostre piccole grandi responsabilità quotidiane di cittadini inevitabilmente inseriti nei meccanismi economici della società globale.
Alla base del Commercio Equo e Solidale (praticato soprattutto da associazioni e cooperative, con un'elevata presenza di volontariato nei paesi ricchi) c'è dunque la volontà di contrastare il commercio tradizionale che si basa su pratiche dannose quali:
- i prezzi vengono stabiliti da soggetti forti (multinazionali, catene commerciali) indipendentemente dai costi di produzione che sono a carico di soggetti deboli (contadini, artigiani, emarginati);
- l'incertezza di sbocchi commerciali dei prodotti impedisce a contadini e artigiani di programmare seriamente il proprio futuro;
- il ritardo dei pagamenti, ovvero il fatto che gli acquirenti paghino la merce molti mesi dopo la consegna e spesso anni dopo che sono stati sostenuti i costi necessari alla produzione (infrastrutture, semenza, nuovi impianti arborei, materie prime), favorisce l'indebitamento di soggetti economicamente deboli e un circolo vizioso che porta spesso all'usura;
- i produttori non conoscono i mercati nei quali vengono venduti i loro prodotti e dunque non riescono ad adeguarsi e tanto meno a prevedere mutamenti nei consumi;
- al fine di ridurre i costi, vengono impiegate tecniche di produzione che nel medio-lungo periodo si rivelano particolarmente negative per il produttore e/o la sua comunità;
- al fine di aumentare i quantitativi prodotti, si fa ricorso al lavoro di fasce della popolazione che nei paesi ricchi viene particolarmente tutelata (bambini, donne incinte, ...) e si rinuncia alla formazione dei giovani;
- persone con scarsa produttività (rispetto alla concorrenza) non hanno di fatto possibilità di sopravvivere sul mercato;

Il commercio equo solidale in Europa è ormai una realtà affermata, con un giro d’affari stimato pari a circa 260 milioni di euro in 18 paesi, ad opera di una miriade di organizzazioni aventi storia e dimensioni tra le più diverse.
Il comparto “food” ha grande importanza e sta percorrendo la via della collaborazione con la grande distribuzione, veicolo primario per giungere a grandi masse di consumatori.
Un tale tipo di commercio ha richiesto procedure di controllo e di certificazione sfociate in veri e propri marchi di qualità.
In Italia è presente il marchio “Transfair” che si ritrova su svariati prodotti alimentari del mercato italiano, sia nel canale specializzato che in quello più convenzionale degli ipermercati e supermercati. Tale marchio garantisce che il prodotto proviene da aziende che rispettano i diritti sindacali dei lavoratori, la partecipazione ai profitti di tutti i soggetti implicati, la non discriminazione, l’organizzazione democratica, l’ambiente.
Ai produttori sono assicurati prezzi “equi”, che coprono i costi di produzione reali; il prefinanziamento dei raccolti (fino al 60% a volte) e contratti a lungo termine, che permettono ai produttori di pianificare interventi ed investimenti; risorse supplementari che i produttori utilizzano per miglioramenti di tipo sociale (sanitario, ambientale, educativo, infrastrutturale) delle popolazioni legate alle aziende produttrici.
Il comparto “food” ha grande importanza e sta percorrendo la via della collaborazione con la grande distribuzione, veicolo primario per giungere a grandi masse di consumatori.

In Italia è presente il marchio “Transfair” che si ritrova su svariati prodotti alimentari del mercato italiano, sia nel canale specializzato che in quello più convenzionale degli ipermercati e supermercati. Tale marchio garantisce che il prodotto proviene da aziende che rispettano i diritti sindacali dei lavoratori, la partecipazione ai profitti di tutti i soggetti implicati, la non discriminazione, l’organizzazione democratica, l’ambiente.
Ai produttori sono assicurati prezzi “equi”, che coprono i costi di produzione reali; il prefinanziamento dei raccolti (fino al 60% a volte) e contratti a lungo termine, che permettono ai produttori di pianificare interventi ed investimenti; risorse supplementari che i produttori utilizzano per miglioramenti di tipo sociale (sanitario, ambientale, educativo, infrastrutturale) delle popolazioni legate alle aziende produttrici.
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In questa cartina è segnata la seda della FAIRTRADE ideatrice lel marchio transfair
La gamma dei prodotti certificati Fairtrade è disponbile in più di 5.000 punti vendita tra cui molte insegne della grande distribuzione organizzata "GDO(punti vendita)", i negozi di biologico specializzato, le Botteghe del Mondo, che svolgono un ruolo fondamentale di informazione, sensibilizzazione e divulgazione delle attività del commercio equo. "BDM(le Botteghe Del Mondo)".